Quando Alessandro Longobardi mi ha chiesto di tentare questa impresa, devo dire, l’entusiasmo è salito subito alle stelle; poi (un po’ come Don Silvestro che col martello, guardando l’arca spalle al pubblico, dice “… va bene farò da solo… da solo” per poi crollare su sé stesso) il senso della realtà ha avuto la meglio.
Il Teatro di Garinei & Giovannini non è mai stato facile da riproporre, paradossalmente, nemmeno per loro stessi. La genesi di numerosi spettacoli concepiti dalla celeberrima coppia era sempre un perfetto mix di idee autoriali, costruzione registica collaudata, team creativo d’eccellenza, e, non ultimo, l’apporto interpretativo di veri e propri mostri sacri del palcoscenico, testimoni ultimi di una generazione attoriale e di una professione, ormai in via d’estinzione.
Nel caso poi dello spettacolo in “oggetto”, stiamo parlando di un successo planetario, allestito in quasi ogni parte del mondo, fatto salvo solo il mercato statunitense. Una Babele di linguaggi, attitudini attoriali, suoni, costumi e luci… il tutto sotto le mura di un’arca pronta a rifondare il mondo.
Personalmente ricordo, ovviamente, le molteplici versioni paterne (chissà cosa sarebbe stato Don Silvestro senza di lui), tra cui quella di Londra in cui lui si dimenticò per sei mesi di essere Johnny Dorelli, e divenne uno straordinario attore anglosassone… non l’ho mai più visto così diverso da se stesso e così straordinariamente bravo… ricordo ovviamente l’edizione del 2009/10 da me interpretata… e poi ricordo la prima al Sistina nel 1974 in cui si aprì il sipario la voce di Dio cominciò a parlare e dal palcoscenico arrivò un’ondata di profumi e note… e fu subito magia… che dura da ben 43 anni.
Come fare per non tradirla?
Intanto il dovere di un regista dovrebbe essere quello di non tradire gli autori… soprattutto (visto il vantaggio che comporta) in casi ove la materia è consolidata e soprattutto di comprovato successo.
Aggiungi un Posto a Tavola è una favola che parla d’amore, di accoglienza, di vita nuova da inventare e, possibilmente, migliorare, di esseri umani che hanno la possibilità di creare un mondo nuovo… e perché no? Anche di fede… minuscola per la scrittura ma assolutamente maiuscola se intesa come fiducia in se stessi, nel prossimo e nel futuro.
Devo ringraziare Alessandro Longobardi per molteplici ragioni.
La prima, sorprendente: ha saputo creare una “famiglia” teatrale. Il livello di professionalità altissimo che ho trovato nel Teatro Brancaccio mi ha profondamente stupito e lasciato incredulo.
La seconda: l’investimento profuso per questo spettacolo è gigantesco. Immagino difficile da sostenere non fosse altro che psicologicamente.
Eppure a questa edizione non manca nulla, anzi vi è più di quanto un comune mortale teatrante come me potesse immaginare. E senza aver fatto richieste particolari: ho trovato tutto sul piatto servito e apparecchiato come in un grande ristorante prelibato.
La terza: l’assoluta libertà di scelta di cast che mi ha lasciato, a volte chiedendo spiegazioni, a volte chiedendomi se fossi sicuro delle scelte fatte, a volte dicendomi che non era profondamente d’accordo con me… ma mai, e ripeto, MAI, una pressione nei miei confronti o ingerenze di qualsiasi natura.
Il mio lavoro lo giudicherà chi vedrà lo spettacolo. Ma sono fiero e orgoglioso di quello che sto facendo. Ai posteri l’opinione su di esso.
Gianluca Guidi
LA TRAMA
La storia, liberamente ispirata a “After me the deluge” di David Forrest, narra le avventure di Don Silvestro, parroco di un paesino di montagna, che riceve un giorno un’inaspettata telefonata: Dio in persona lo incarica di costruire una nuova arca per salvare se stesso e tutto il suo paese dall’imminente secondo diluvio universale. Il giovane parroco, aiutato dai compaesani, riesce nella sua impresa, nonostante l’avido sindaco Crispino che tenterà di ostacolarlo in ogni modo e l’arrivo di Consolazione, donna di facili costumi, che metterà a dura prova gli uomini del paese, ma che si innamorerà di Toto e accetterà di sposarlo.
Giunto il momento di salire sull’arca, un cardinale inviato da Roma convince la gente del paese a non seguire Don Silvestro, accusandolo di pazzia, cosicché sull’arca, sotto il diluvio, si ritrovano solo lui e Clementina, la giovane figlia del sindaco da sempre perdutamente innamorata di lui. Il giovane curato decide però di non abbandonare il suo paese e i suoi amici e Dio, vedendo fallire il suo progetto, fa smettere il diluvio. Per brindare al lieto fine Don Silvestro aggiunge un posto a tavola per… Lui!